Chi son io? Chi sei tu?
Le superfici di Carlo Pecoraro sono piccoli antri accoglienti e ospitali, luoghi in cui gli attimi di vissuto più brevi e sfuggenti trovano una sede nella quale sopravvivere. I semplici e apparentemente insignificanti gesti celano il racconto: la storia di un noi diffuso che ha perso coesione e vive frammentato e diviso le sue semplici gesta quotidiane. I dipinti dal piccolo formato di Carlo Pecoraro si legano fra loro attraverso il filo conduttore delle esperienze umane alienate, eroiche, appassionate, anonime: sequenze che indugiano su volti, scenari urbani, su gesti dall’eclatanza non riconoscibile fra atti di disperazione, attese, abbracci e abbandoni.
Le ineffabili e avvincenti storie – o meglio sarebbe dire, favole – enarrate dall’attuale società consumistica e della comunicazione, che ci raggiungono attraverso i potenti mezzi pubblicitari e che ci dicono delle ridenti famiglie Barilla, delle magnifiche ragazze Wonderbra, dei dolci e piccoli bambini Pampers, hanno sempre quel noi diffuso come protagonista, eppure lì tace la voce sensuale della vita. L’immagine che Pecoraro ritrae è quella che egli sceglie di sottrarre al consumo, selezionandola dalle moltitudini che passano. Fermata sulla tela essa smette di essere un momento fra tanti, occupa il nuovo spazio che le si offre. Seppure apparentemente scevre da complicanze emotive, le opere di Carlo Pecoraro tramutano la semplicità e l’immediatezza del racconto in stati d’animo reconditi, esposti all’inquietudine del presente.
Attraverso vari stadi lavorativi, le opere pervengono ad un risultato finale in cui predominano pochi eccentrici colori violenti, colori che campiscono le superfici fra zone uniformi ed in contrasto di luce e d’ombra. Esito di tale elaborazione, un’immagine che si arricchisce di suggestioni: i soggetti ritratti escono dall’anonimato, il racconto fuoriesce senza durata nell’evocazione, le storie si avvantaggiano di un’atmosfera soffusa.
Nell’opera di Carlo Pecoraro, inoltre, ricorre il riferimento all’immagine filmica, al piccolo schermo, da cui anche il ridotto formato delle tele. Si alternano inquadrature decentrate, campi totali, primissimi piani, in un gioco compositivo che sfrutta sapientemente tutte le strategie narrative.
Le domande esistenziali che nel film Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders rincalzano da un personaggio all’altro e che gli artisti non temono di porsi – chi sono io? chi sei tu? – tornano ad interrogare, per primo l’artista e, in seconda battuta, tu, osservatore, che provi a fermarti.
Tania Vetromile